Adorate la Air Jordan 1, spendete un sacco di soldi per accaparrarvi l’ultima release delle più desiderate sneakers di tutti i tempi… ma qualcuno (sì, sì, parlo con i più giovani, quelli che si sono persi la sua epopea negli anni ’80) si è perso un po’per strada l’immenso fenomeno che ha rappresentato – e che è stato – Michael Jordan.
Piccolo ripasso, quindi, buono per tutti
Michael Jordan
“Non ridete! Non ridete!” L’audience invece un po’ sorride, in alcuni casi ride addirittura. Il premiato sta dicendo di non ridere, perché, secondo lui, potrebbe essere in campo a 50 anni. Mai dire mai. Non si capisce se sia una minaccia o una promessa. D’altra parte il minacciante o promettente è credibile. C’era in campo a 40 anni e ha messo 43 punti.
Siamo a Springfield, nel Massachussetts, Hall of Fame, nel 2009 e non è l’unico premiato, ce ne sono altri 3: John Stockton, tecnicamente un muto e un muto fa sempre comodo che però ha lasciato parlare le mani. Viene premiato anche Sloan, l’allenatore di Stockton che ha la più lunga striscia vincente di partite con un’unica squadra, gli Utah Jazz. E poi c’è l’uomo, che probabilmente è l’uomo più intelligente di sempre che abbia anche vinto un titolo di MVP nell’NBA: David Robinson.
Poi però la luce fa il suo giro e torna dal suo prescelto.
Lo fa sostanzialmente dal febbraio del 1963, quando il premiato è nato a Brooklin, New York. Il suo discorso è quello di un uomo che non c’entra con gli altri: è indiscutibilmente il più grande giocatore di tutti i tempi. E’ stato 6 volte in finale e per 6 volte l’MVP.
Non c’è bisogno dei numeri, i numeri l’offendono.
E’ stato un esploratore dell’umanità.
Un uomo che ha pensato che esistessero dei limiti e ha fatto tutto quello che poteva per superarli. E’ un realista atipico che ha sempre voluto l’impossibile. Durante il discorso fa anche un passaggio per i figli. L’unica cosa che dice loro: Non vorrei essere in voi. Il fardello, “the burden” di portare quel cognome.
Credo che non ci siano stati dubbi, lui e Muhammad Ali siano state le due grandi icone dello sport americano del 1900.
Negli anni 90 in un’inchiesta in Cina su chi fosse stato l’uomo più grande della storia fu un testa a testa tra Zhou Enlai e Michael Jordan. Si perché tutti, ma proprio tutti conoscono Michael Jeffrey Jordan.
Tutto nasce da qui: 2 fogli, quelli tipici dei quaderni americani con le righine azzurre orizzontali, hanno scritto 30 nomi, 15 per foglio, sono affissi all’ingresso della palestra della Laney High School di Wilmington, North Carolina.
In 50 hanno provato ad entrare nella squadra, ma ne verranno selezionati solo 30. I 15 di sinistra sono quelli che giocano nella Varsity, la prima squadra con i ragazzi di 3° e 4° anno, i 15 di destra sono quelli che giocheranno nella Junior Varsity, i giovani del 1° e 2° anno. C’è un ragazzino che guarda tra i nomi della Varsity, non pensa nemmeno di leggere quelli della Junior Varsity, ma il suo nome non c’è.
E’ un ragazzo con una marea di insicurezze. Lo sport di famiglia sarebbe il baseball ma a lui piace anche il basket ed ecco perché è andato al Boys & Girls Club. A Wilmington insegna basket Papa Jack; tutti vanno a giocare per Papa Jack anche Meadowlark Lemon.
Tra gli altri giocatori formati da Papa Jack c’è anche un certo Clifton Herring, detto Pop. A 26 anni diventa il più giovane allenatore di basket della Carolina.
Michael è convinto che i suoi genitori prediligano il fratello Larry. Quando sceglie il numero di maglia opta per il 23 perché il fratello Larry porta il 45 e secondo lui vale il doppio.
Nella lista dei 30 ragazzi Michael è tra i 15 della Junior Varsity. Non la prende bene e per tutta la sua vita MJ sosterrà che Pop Herring l’abbia tagliato, ma non è vero; Pop ha fatto questo solo per il suo bene.
La squadra è in mano ad un certo Sputnik, un eccellente playmaker. Ma Pop Herring si rivelerà il suo primo grande allenatore. Partecipa anche al reclutamento, cioè dove andrà all’università.
Arrivano 200 lettere da college di tutta America.
Vorrebbe andare a giocare a UCLA, scrive una lettera a Larry Brown, ma non riceverà mai risposta.
Vorrebbe andare a giocare a Virginia perché i giocatori di Virginia avevano le scarpe più cool, le Adidas. Diventerà poi il più grande testimonial sportivo di tutti i tempi per la Nike.
Alla fine va a Carolina, ma senza borsa di studio.
Da studente normale. E trova uno dei più grandi allenatori, Dean Smith. Carolina non ha mai vinto niente; per Sports Illustrated Dean Smith non lo fa nemmeno fotografare. In quell’anno Carolina arriva in finale contro Georgetown. E l’ultimo tiro della finale lo segna proprio Michael.
Gli altri 2 anni a Carolina sono fantastici, Dean Smith fa fare qualsiasi cosa a Jordan. Va alle Olimpiadi di Los Angeles 1984 e vince il suo primo oro.
Ora è pronto per l’NBA. Il draft è un po’ complicato. La prima chiamata è scritta: è di Houston che sceglie Akeem Olajuwon; spera nella chiamata di Portland, ma alla fine lo chiama come 3 Chicago. Il primo anno nella Lega porta i Bulls ai playoff. La svolta è durante i playoff dell’88.
Dopo di che il resto della storia di Michael Jordan è leggenda.
Mi piace anche ricordare questo aneddoto, raccontato da Federico Buffa, quello che ha fatto nascere il Dream Team delle Olimpiadi 1992.
A Montecarlo con la squadra che andava al Dream Team: la più grande squadra di sempre. Micheal non sopportava l’idea di non essere il padrone della squadra, c’è un solo avversario alfa come lui ed è Magic Johnson.
Continuamente andava da Larry Bird e gli diceva: “Larrone, Larrone quella schiena ti perseguita, però ogni volta che entro al Boston Garden e guardo quei gonfaloni là in alto penso: “Che gloria, e poi pensa che finchè giocherò io non ne vincerete più nessuno”.
E Bird abbassava la testa. Poi va da Magic Johnson che ha battuto l’anno prima e dice: ”Magic, una volta venire a Los Angeles con i Bulls per la nostra trasferta annuale, era…. complesso, adesso porto i miei figli perché vadano a Disneyland. Tanto la partita è poca cosa.
Non ce la fanno più. Non ce la fanno più. Anche Daly, Chuck Daly non ce la fa più. Ed è l’allenatore che l’ha avuto contro in tutte quelle serie contro Chicago e che ha creato le ”Jordan Rules” che vi asciugo in: “Quando entra in area lo sdraiamo a turno tutti quanti”. Daly li deve mettere contro, è una questione territoriale.
Magic gioca con quelli dell’Ovest e quindi con Charles Barkley per esempio. Jordan con quelli dell’Est, perciò ha Bird in squadra, ha Ewing che è un suo amico, Scottie Pippen che è un altro amico.
La partita è assolutamente la più bella che sia mai stata giocata di cui nessuno sa nulla, tranne Jack McCallum, che è uno scrittore/giornalista che recentemente l’ha immortalata in un libro, chiamato Dream Team.
La squadra di Magic è davanti poi Barkley commette un paio di errori verbali parlando e sfidando Jordan un po’ troppo. Jordan prende in mano la partitella e la stravince.
Adesso si fa come dice lui.
Le partite del Dream Team sono delle esibizioni, non sono realmente delle gare.
Arrivati all’ultima partita per dimostrare quanto sia superiore alla Lega e al Mondo, siccome lo sponsor della nazionale non è il suo, prende la bandiera americana se la drappeggia addosso e copre il marchio. Richiesto di un parere, dice: “Ehi ragazzi, se volete 12 Clint Eastwood a farvi un lavoretto, poi gli chiedete che pallottole hanno usato?
Perfetto, è Jordan.
C’è un solo Michael Jordan.